Synth e chitarra, una riflessione estetica

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Il sintetizzatore è lo strumento che ha permesso l’introduzione del suono elettronico nella popular music e di conseguenza nella cultura di massa.
Fin dagli anni ’70 i progettisti dei sintetizzatori a tastiera si prodigarono nell’ideare sistemi che consentissero anche ai chitarristi di suonare timbri elettronici. Un percorso tecnicamente complicato e che ancora oggi vede delle sostanziali evoluzioni.

Il suono sintetico

Cos’è un sintetizzatore e come produce suoni?
Una domanda complessa che entra nel merito di questioni tecniche, per quanto semplici.
Ma possiamo affermare che il sintetizzatore è l’assieme di moduli elettronici sviluppati nel corso del XX secolo connessi fra di loro al fine di produrre un suono mediante l’impiego di elettricità.
Dalla fine del ‘800 in poi sono stati sviluppati circuiti atti a il suono con l’ausilio della corrente elettrica e successivamente abbinando alcune di queste invenzioni ad altre, spesso nate per altre finalità, si è giunti a definire le architetture di una serie di strumenti.

Il rapporto fra suono ed elettricità si è instaurato appena quest’ultima è stata introdotta nella civiltà industriale.
I pionieri delle prime macchine che emettono suoni mediante la sollecitazione di correnti elettriche anziché vibrazioni nell’aria di un oggetto fisico risale alla fine del XIX secolo.

Il primo strumento strutturato per esecuzioni musicali fruibili da un pubblico fu il “Telharmonium” o dinamofono inventato da Thaddeus Cahill intorno al 1897.
A lui seguirono innumerevoli altri come Leon Theremin che realizzò il primo oscillatore a valvole pilotabile tramite delle antenne nel 1919.
Ma per tutto il ‘900 appare chiaro un elemento, le possibilità offerte da questi strumenti erano notevolmente superiori alle esigenze espressive dei generi musicali in circolazione.

Soltanto alcune avanguardie particolarmente evolute e in fasi storiche precise seppero coniugare questi due aspetti come, ad esempio, quelle dei compositori post-Weberniani del dopo guerra.
Il progresso dell’estetica musicale, attraverso le evoluzioni e devoluzioni dei vari generi musicali, sia “seri” che “popolari”, è stato per tutto il secolo oscillante e non lineare come quello tecnico.

Come rilevava John Cage nella sua raccolta di discorsi e saggi “Silenzio”:
“Quando (Leon) Theremin realizzò uno strumento con possibilità veramente nuove, i “Thereministi” fecero il massimo per farlo suonare come un vecchio strumento, dandogli un vibrato dolcemente ammaliante e eseguendo su di esso, con difficoltà, i capolavori del passato.
Sebbene lo strumento sia capace di un’ampia varietà di qualità sonore, ottenute girando una manopola, i Thereministi agirono da censori, dando al pubblico quei suoni che pensavano gli sarebbero piaciuti.
Siamo protetti dalle esperienze sonore.”

Questa analisi coglie il fulcro di tutto ciò che analizzeremo di seguito, e pur riguardando uno dei primi strumenti elettronici descrive un comportamento ricorrente che ritroveremo spesso anche nel rapporto chitarristi e suono elettronico.

Hans Zimmer con il suo Moog modulare.

L’epopea della chitarra-synth

Agli albori di questa tecnologia, fra i primi anni ’70  e il decennio successivo, si inizia ad utilizzare il termine “chitarra synth”.
Ovvero, alcuni costruttori rendono possibile ai chitarristi di pilotare i suoni elettronici prodotti dai sintetizzatori attraverso la chitarra anzichè mediante una tastiera. Saranno nomi importanti e particolarmente dediti alla sperimentazione a farne uso per primi: John McLaughlin, Paolo Tofani (Area), Robert Fripp, Terje Rypdal, Pat Metheny, Steve Hackett e Allan Holdsworth.

Nel corso degli anni ’70 la tecnologia impiegata per pilotare i sintetizzatori è il cosiddetto “pitch to control voltage” (o frequency  to voltage), in corrispondenza della pressione di un tasto di una tastiera, che agisce come un interruttore, viene emessa una specifica tensione elettrica che genera un suono con una nota ben precisa.

Ma per la chitarra è terribilmente più complicato, premendo un tasto e colpendo una corda questa vibra ed emette direttamente un suono quindi il segnale audio prodotto dalla chitarra elettrica tradizionale è costretto ad entrare in un circuito speciale in cui avviene una conversione della nota in una tensione di controllo, rendendola simile all’evento tecnico prodotto dalla tastiera.

Una serie di filtri eliminano le frequenze spurie o le armoniche che possono  interferire nella corretta decifrazione della nota. Inoltre viene interpretata e codificata l’ampiezza del volume del segnale entrante che viene tradotta in cosiddetto un inviluppo, sempre espresso con una tensione.
La frequenza che riproduce la nota suonata dalla corda veniva quindi convertita in una tensione (CV o Control Voltage) che andrà ad interagire con l’oscillatore del synth che produrrà quindi una nota corrispondente a quella eseguita, ma con un suono generato elettronicamente.
Nello stesso momento l’andamento del volume, rappresentato in tensioni di controllo, andrà a pilotare il circuito che decide il volume della nota (un amplificatore pilotato in tensione o VCA) garantendo quindi che la nota abbia (più o meno) la durata e l’attacco della nota eseguita sulla chitarra.
Questo grado di sviluppo tecnico obbligava i chitarristi ad interagire con gli strumenti disponibili allora, ovvero i synth analogici non molto precisi, ma con suoni caratteristici.

Paolo Tofani (Area) con un sistema di synth analogico connesso a una chitarra elettrica

Queste macchine producevano suoni di natura elettronica, molto distanti dai timbri naturali.
Tutto ciò costringeva anche i tastieristi e chitarristi ad utilizzare suoni che risultavano palesemente sintetici e a non poter impiegare questi apparati come sostitutivi di strumenti pre-esistenti come il piano acustico o il flauto.

Inoltre, solo in un secondo tempo saranno disponibili  macchine in grado di salvare i suoni automaticamente,  il musicista era quindi costretto a segnare su carta o memorizzare le regolazioni e i collegamenti in grado di produrre un determinato timbro.
Questa limitazioni saranno superate solo negli anni ’80 e quello che avverrà dopo sarà uno spartiacque fondamentale nell’uso dei sintetizzatori.

Va considerato che, a prescindere dalle potenzialità messe a disposizione dalla ricerca, a partire dall’avventura di Moog in poi (che fa diventare i synth dei prodotti di mercato prodotti dall’industria) sarà il business a definire le direzioni e le potenzialità delle tecnologie commercializzate.
E il mercato degli strumenti sarà sempre più connesso alle tendenze della “popular music” che da controcultura della contestazione degli anni ’60-70 diverrà colonna sonora del divertimento di massa nei decenni successi limitando fortemente l’impiego sperimentale e innovativo degli strumenti a favore di un uso pratico e compatibile con le necessità della maggior parte dei professionisti alle dipendenze dell’industria discografica.

L’estetica della chitarra sintetizzata

Ma i “limiti” degli strumenti elettronici degli anni ’70 produssero alcuni fenomeni di ordine estetico: l’industria degli strumenti era agli albori e di conseguenza non era in grado, ancora, di adeguarsi alle necessità dei “professionisti” dell’intrattenimento ma si rivolgeva ai musicisti più innovativi.
Si determinò, innanzi tutto, la contaminazione elettronica della popular music presente in quel momento. Robert Moog, insieme a Don Buchla, uno dei primissimi pionieri dell’industria del synth tentò immediatamente di proporre la sua macchina ad autori di successo come Beatles e Rolling Stones.
Quindi nel rock della fine degli anni ’60 e in quello degli anni 70, gli organi Hammond e gli strumenti a tastiera già in uso (come Mellotron, Clavinet etc) vennero affiancati dai Moog e dai Minimoog in modo assolutamente naturale.
Il rock di quegli anni era in piena evoluzione e ricercava nuove idee e soluzioni. Già in “Abbey Road” dei Beatles (1969) possiamo ascoltare i muggiti del Moog ma poi diverrà un sound abituale nei brani di Emerson Lake & Palmer, Yes, Genesis etc

Terje Rypdal con un sistema analogico Roland Gr500

Un’altra operazione, sempre ispirata in qualche modo da Robert Moog, fu favorire la divulgazione di musica di intrattenimento completamente incentrata sui suoni elettronici. La molla fu la collaborazione fra Moog e il pianista Walter Carlos, già nella progettazione del synth, che nel 1968 pubblica “Switched-On Bach”, un disco di “cover” di brani classici eseguiti al Moog Modular che avrà un successo planetario.
Questo dapprima generò un’emulazione caotica e senza grandi risultati artistici, dalle canzoni di Natale fatte al Moog al pop languido nostro “Guardiano del Faro”,  che tentavano di sfruttare la curiosità e l’onda del successo di massa di Carlos.
Ma in seconda istanza si inserì nel processo evolutivo della psichedelia dando lo spunto a veri propri generi come il “rock cosmico” o “kraut-rock” tedesco basato sull’uso massivo di sintetizzatori e alla nascita di un rock-strumentale fondato prioritariamente sui suoni sintetici come quello di Vangelis e Jean Michel Jarre.

In questi generi, sviluppatisi negli anni ’70, gli autori usavano il timbro sintetico come elemento lessicale di un’estetica fondata sull’elettronica.
La dimensione “spaziale”, “cosmica”, “robotica”, “futurista” della direzione artistica di questi autori era garantita proprio dalla palese matrice tecnologica degli strumenti usati, sia nei suoni che nell’esasperazione della propria immagine come guru del paradigma uomo-macchina. A raccogliere questa eredità fu la dance, sia per semplificare gli arrangiamenti che per sfruttare la dimensione ripetitiva dei sequencers.

In questa cornice, anche l’uso, benchè limitato a pochi pionieri, dei primi guitar-synth proponeva la chitarra come generatore di un suono tecnologico-futuristico.
I timbri utilizzati non potevano, anche volendo, emulare altri strumenti, chi lo utilizzava doveva necessariamente adottare suoni sintetici e quindi inserirli all’interno di composizioni che avevano una direzione innovativa e fuori dal comune.
Nel 1981 i due chitarristi (Robert Fripp e Adrian Belew) dei King Crimson,  adotteranno i sistemi analogici Roland Gr300, al fianco dello stick bass di Tony Levin e dei pad di Bill Bruford, proprio per esaltare il “senso di nuovo” che la reunion di “Discipline” intendeva infondere, e infatti l’uso di quegli strumenti fatto da quella formazione resta ancora, sotto il profilo dell’estica musicale, straordinariamente attuale.

Il sistema Roland Gr300, adottato dai chitarristi più esclusivi del periodo da Robert Fripp a Pat Metheny. La chitarra implementa un pickup esafonico ma la sintesi resta analogica.

Un passo avanti e due indietro

Fra il 1982 e il 1983 vennero proposte al mercato tre innovazioni che stravolsero il mercato degli strumenti musicali e impressero alla popular music nuove direzioni deflagrando come una bomba atomica.

Yamaha DX7, un synth rivoluzionario

Nel 1982 la Yamaha commercializza il mitico sintetizzatore FM “Yamaha DX7”.  La tecnologia nipponica supera la sintesi analogica di Moog e le sue complicazioni, ingombri e costi con una tastiera più economica, a livello di programmazione più complessa ma compensata dalla possibilità di salvare centinaia di suoni, che normalmente sono pre-impostati già in fabbrica e che nella maggior parte dei casi coprono le più varie esigenze.
Il sound della sintesi FM soppianterà, temporaneamente quello dei classici suoni analogici. Il suono FM fa effettuare un salto in avanti nella verosimiglianza coi suoni naturali che si completerà con l’introduzione del campionamento.
Questo elemento scardina del tutto i paradigmi estetici del decennio precedente  aprendo la strada a nuove applicazioni del sintetizzatore.
Nella stessa fase vengono commercializzati i primi campionatori, l’imitazione della “natura” è ormai completa. Il nuovo paradigma ora è “suono tecnologico: imitazione di tutti gli strumenti e i suoni pre-esistenti”.

A connettere a questo nuovo paradiso i chitarristi ci pensa l’introduzione del protocollo MIDI (Music Instruments Digital Interface) che permette di codificare in digitale i comandi necessari all’esecuzione musicale su uno strumento elettronico e trasmetterli via cavo ad altri apparati eliminando l’obsoleta tecnica del controllo in tensione.
E’ quindi possibile per un tastierista con una sola tastiera (master keyboard) pilotare via MIDI i suoni di diverse macchine, che vengono quindi proposte dal mercato anche senza keyboard, solo il “cervello”: gli expanders.
Ogni synth di successo uscirà in versione keyboard e in versione expander.

Nella tecnologia della chitarra-synth si inserisce quindi un nuovo tassello: la Roland propone un nuovo pick up da apporre o cablare in modo permanente già in fabbrica sulle chitarre detto esafonico, ovvero diviso in sei, uno spicchio per corda.
Trasformato in segnali separati il suono elettrico viene tradotto in informazioni digitali in formato MIDI e a quel punto può, via cavo, pilotare qualsiasi expander, tastiera, campionatore e poi computer.

King Crimson 1982 con i vecchi sistemi Roland Gr300, pickup esafonici su sintesi analogica

Questa tecnologia avrà sempre dei problemi, gradualmente migliorati, dovuti alla lentezza del processo e al ritardo fra il momento in cui il chitarrista esegue la nota e quello in cui l’ultimo apparato della catena, l’expander, emette il suono.

Infatti il MIDI, in parte, complica le cose. Mentre il vecchio CV agiva immediatamente su una macchina di sintesi più limitata, la traduzione in MIDI introduce delle fasi ulteriori che risulteranno in seguito migliorate solo dall’evoluzione dei processori digitali.

Questo scenario, che si manifesta dagli anni ’80 ai ’90, nel mondo del sintetizzatore è accompagnato dalla commercializzazione di macchine sempre più efficienti a produrre suoni naturali (pianoforti, violini, flauti, percussioni, fiati etc) tanto è vero che gli strumenti tecnologici non in grado di competere in questo esercizio saranno dei flop commerciali come le batterie Roland TR 808, Tr 909 e il basso TB 303 che finiranno nei mercatini dell’usato e contribuiranno allo sviluppo di nuove musiche underground (house, techno, hip-hop) basate sul timbro elettronico e che non avranno bisogno di suoni imitativi.

Proprio quest’ultimo fenomeno mette in luce una fondamentale scollatura fra il mondo dei “professionisti” legato ai modelli che impone l’industria “dell’intrattenimento” e i fenomeni spontanei di “popular music”.

In questo scenario la chitarra resta uno strumento distante dalle nuove direzioni, legate all’estetica della dance post-Moroder che ha implementaro vari elementi mutuati dai Kraftwerk , restando in moltissimi casi imbrigliato nei canoni della popular-music tradizionale (rock, fusion, metal) in cui l’approccio del chitarrismo è rimasto cristallizzato in modelli sviluppati negli anni 80 (power chords, arpeggi, assoli virtuosistici, pur nelle ovvie mutazioni di gusto e di tecnica).

In questo quadro l’estetica dei chitarristi-MIDI, quindi non più “synth”, è legato all’imitazione pedissequa di suoni pre-esistenti: flauti, pianoforti, violini, armoniche, trombe, organi etc.
E’ esattamente quando indicato da John Cage quarant’anni prima.
La cosa paradossale che ha indotto le case costruttrici (in particolare Roland), oltre a proporre semplici convertitori MIDI a proporre apparecchi che emulano, oltre ai suoni sintetici più diffusi e ai campioni di suoni acustici più usati, anche innumerevoli suoni di chitarra.

Quindi si usa la chitarra Midi per suonare altre chitarre e qualche suono semplice di synth buono per le esecuzioni più comuni.
Ancora una volta l’industria ha indotto un regresso clamoroso dei canoni estetici a fronte, invece, delle immense possibilità messe a disposizione dalla tecnologia.
Mentre il mondo dei tastieristi ha, nel nuovo millennio, dovuto adeguarsi alla domanda di suono analogico rivisitato e di nuovi suoni sintetici dettata dalle nuove forme di dance music, quello del chitarrismo-Midi sembra essersi incagliato in un processo di implosione la cui responsabilità pende al 50% sugli strumentisti e al rimanente 50% su un’industria che ormai non riesce né a cogliere le nuove tendenze né a stimolarne di nuove.

Paradossalmente, le nuove forme di musica elettronica, immerse nei sub-generi dell’underground, richiedono interfacce idonee a connettere anche i chitarristi a questo nuovo universo ma i progetti di interfaccia e di controller che si profilano sul mercato provengono stavolta dall’ecosistema delle start-up e dei progetti indipendenti: Yourock guitar, Sonuus, Star Labs, Rob O’Reilley, Misa Digital, Jam Origin, Roberto Benincaso, Migic e molti altri.

Strane evoluzioni del mercato capitalista mondializzato governato dalle multinazionali che riportano l’innovazione  nelle mani dei piccoli sviluppatori, di piccoli Leon Theremin o Thaddeus Cahill.

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